Che paura è stata perdermi.
E per perdermi è stato necessario perderti. Perchè eri il mio faro. Quello che ti dice dov'è la scogliera quando esci in mare aperto.
Poi qualcosa non ha funzionato. E la luce si è spenta.
Ed io ho remato e remato, verso il largo. Perchè pensavo che li avrei trovato un altro faro. Un'altra scogliera.
Per mesi e anni mi sono steso al sole di altre spiaggie. Parlavo con gabbiani e sirene.
Un paio di marinai mi hanno riferito che eri ancora un faro, un bellissimo faro tutto orgoglioso sulla punta dello strapiombo.
E altri anni.
Ho ricomprato una piccola imbarcazione, due remi ed è cominciata la navigazione.
Verso la sorte, verso la vita. Ma è stato solo fare un giro piu largo verso casa.
Tu sei la casa.
Alla luce dell'alba il tuo profilo si è confuso con quello di mille altre scogliere.
Gettavo la rete da pesca e rialzavo pesci che non erano quelli dei tuoi mari.
Ad ogni balena, ogni capidoglio che passava dinnanzi a me chiedevo se conoscessero il faro che illumina la notte della mia isola.
Finchè un delfino gallego ha preso a cuore la mia tristezza e scortato da mille sirene mi ha ricondotto davanti al tuo strapiombo.
La tua luce è ora intermittente, a volte passa e mi saluta, a volte gurda in altra direzione.
La mia rete ha pesci luccicanti che io porto in un fagotto sulla mia spalla mentre mi arrampico sulle tue roccie.
A metà strada mi illumini e sorridi e io ti chiedo un segno.
Un segno che indichi che la fatica ha senso.
Ti giri dall'altra parte, forse i tuoi no valgono come dei si.
Nettuno ha detto di non girarmi a guardare il basso. L'acqua è distante.
Devo salire e portarti i doni del mare.
Ma le forze mi mancano. La mia barca è persa alla deriva e la rete s'è impigliata.
Le sirene non cantano più e i delfini sono migrati.
Sono solo un'altra volta.
Illuminami ancora.
Ascoltami di nuovo e sarò sulla tua cima per il resto della vita.
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