Paraguay 2006. Aprile circa.
"io ci terrei proprio tanto a vedere le colonie mennonite al centro del Gran Chaco"
"cosa sono i mennoniti?"
"sono una roba pazzesca: esuli russi, di etnia germanica, scappati dall'avvento del bolscevismo della rivoluzione d'ottobre, cristiani protestanti che rinnegano la dottrina di tutte le altre confessioni cristiane e vivono senza l'ausilio della tecnologia moderna, si vestono con stravaganti salopette jeans e cappelloni da puritani...ah e ovviamente come tutti gli esuli russi parlano solo il tedesco del 19° secolo".
"dove vivono?"
"vivono in questa savana subtropicale del Paraguay chiamata Gran Chaco".
Asuncion è la città più umida che abbiamo mai visitato. Il sole sembra concentrare tutti i suoi raggi nel perimetro della città. I condizionatori degli appartamenti immettono in strada altra aria calda.
L'insolito risultato rende impossibile uscire dopo le otto del mattino e prima delle sette di sera.
Anche se sociologi alle prime armi parlano di una consuetudine dovuta alla paura delle varie dittature che hanno insanguinato il paese rendendo la sua popolazione restia a mettere il naso fuori dalla porta di casa. Falso! E' colpa del caldo!
Il bus che ci porta da Asuncion a Filadelfia è una supposta di aria condizionata che attraversa l'inferno ida y vuelta due volte al giorno.
Sul mezzo siamo 4 turisti (dei nove che visitano il paraguay mensilmente)
I finestrini sono oscurati da fuori, le porte sigillate per non perdere neanche una "goccia" di aria fresca del condizionatore.
Due turiste svizzere ci precedono nei posti. Poi mi pare che ci siano un paio di cristi qualsiasi e un Guarany. Gli autisti sono due. Uno guida e non parla, l'altro ci offre da bere, aranciata, mate de guarany e fa conversazione con noi tutti ma soprattutto con le bionde svizzere.
Il viaggio dura cinque ore, ma potrebbero essere 9. Il tempo si appiattisce e il paesaggio ti fa dimenticare di essere sulla terra.
A metà strada.
Piu o meno a cavallo tra il niente del Sahara e il nulla cosmico lo sportellone si apre e salgono due sorprese.
Il mio primo contatto con due mennoniti è esattamente come me lo sono immaginato per mesi.
Non salutano, non parlano, hanno i cappelloni e le salopette, sono sobri, portano con se una valigetta. Sono vagamente ostili e io immagino che ci considerino degli svergognati che indossano sconciatissime magliette T-shirt.
Filadelfia è la colonia più grande del gran Chaco. Le strade si chiamano STRASSE con la ß. Non sono asfaltate c'è solo terreno. Ché se piovesse si chiamarebbe fango. Ma nel Gran Chaco non piove.
In Paraguay i turisti sono meno comuni dei giaguari. Ho visto 9 turisti in tre settimane. Nessun giaguaro vivo, ma dicono che siano bestie poco socievoli.
A Filadelfia c'è un solo hotel, e noi che siamo avventurieri della domenica abbiamo telefonato il giorno prima per conoscere disponibilità e prezzi (e andateci voi li col rischio di non trovare dove dormire, magari conoscerete qualche giaguaro!)
Ci sono due tipologie di camere, ci spiega in tedesco prima e in uno stentato spagnolo poi, la ragazza della reception (bionda con occhi azzurri).
Noi capiamo solo la parola "economica" e ci lanciamo verso il risparmio.
Mentre aspettiamo le chiavi assistiamo sbalorditi alla partecipatissima conversazione delle svizzere con la tipa del hotel. In tedesco s'intende!
Le chiavi arrivano contemporaneamente per tutti, ma loro salgono le scale e spariscono mentre noi veniamo accompagnati lungo un sentiero verso una costruzione al livello della strada.
La tragedia ha inizio.
La stanza economica è di gran lunga piu bella e luminosa e pulita e profumata e comoda e splendente che abbiamo mai visto in quattro mesi di viaggio.
Dal battiscopa fa capolino uno scarafaggetto che è li chiaramente per salutarci e farci le sue feste.
Figurati, abbiamo dormito con le capre e le galline e i cavalli e i cani randagi.
Allora lo scarrafone chiama a raccolta i suoi amici che vogliono salturaci anche loro.
Si materializzano da punti diversi. Prima cinque, poi dieci poi decine decine decine di scarafaggi e una cavalletta, delle formiche e altri scarrafoni. Grandi piccoli medi. Un grillo, una falena. Il pavimento diventa nero. E' il primo rave per insetti a cui partecipo.
Silvia ed io siamo nel panico, altrimenti ci chiederemmo che fine hanno fatto i due leocorni. Il panico si trasforma in isteria. L'isteria in rabbia convulsa.
Alla reception ci dicono che si può fare poco. Manderanno qualcuno a pulire.
Il chico che è stato mandato è alto due metri e venti e la bomboletta di raid anti-insetti nelle sue mani sembra più un deodorante spray monouso.
Sorride, sfotte forse?
Poi amabilmente ci informa della grande verità:
L'uomo non è l'abitante naturale del Gran Chaco.
Lo scarafaggio è il padrone di queste terre...
Ma state tranquilli, non volano, non saltano e non gliene frega niente di voi.
E grazie al cazzo!
Mi faccio lasciare la bomboletta insetticida e glielo faccio vedere io agli scarrafoni che sono guai a mettere i bastoni tra le ruote all'uomo! TSE', 'sta natura, crede di poter avere la meglio?
Dopo esserci avvelenati tanto quanto gli insetti discutiamo della possibilità di prendere la prima supposta di ritorno e cercare conforto tra le vuote ma belle strade di Asuncion.
Poi decidiamo di non darla vinta agli scarafaggi, né ai mennoniti né a quel gran figlio di un Chaco e a sua madre, madre natura per l'appunto.
Poi qui ci sono un sacco di cose da vedere! Il museo del pioniere e un supermercato. E figurati se noi ci perdiamo un supermercato.
La mattina dopo ci siamo già ambientati. L'unico momento difficile è stato quando uno degli scarafaggi scampati alla grande moria del raid è salito sulla gamba di silvia sotto la doccia. Scarrafoni anfibi.
Nel museo aperto apposta per noi due ci sono dei giaguari imbalsamati e altre cianfrusaglie. Il prezzo del biglietto non serve a mantenere il museo ma a foraggiare le casse della comunità.
Ci invitano a provare lo yogurt che dicono essere la specialità del luogo.
L'hotel ci fa vedere una videocassetta con la storia delle colonie, della sofferenza dei pionieri, degli scarafaggi nelle zuppe, delle coltivazioni bruciate dal sole, delle carestie.
Il punto di svolta di queste comunità è stata la cooperazione con gli indigeni del Paraguay. I Guarany (qui tutto si chiama Guarany, dai succhi di frutta ai soldi alla gente, è il simbolo nazionale, poi però gli indigeni guarany si contano sulle dita di una mano).
Quindi al tramonto ci è chiara una cosa: I mennoniti sono dei testoni in salopette, ma non dei fessi.
Nei loro campi di cereali mica ci vanno loro a spezzarsi la schiena, ci mandano gli indigeni che sono sfruttati e mal pagati.
Ora capisco perchè sono fuggiti dai bolscevichi, quelli se li trovavano se li mangiavano vivi, e non solo i bambini.
Il terzo giorno risaliamo sulla supposta congelata e riprendiamo il largo lasciandoci dietro 'ste colonie mennonite for good! Ci chiediamo però che fine avessero fatto le svizzere, se come noi fossero riuscite a sopravvivere (anche senza scarafaggi nella stanza al piano rialzato) o se si fossero arrese alla nullità violenta di questo posto.
Ad Asuncion facciamo il punto della situazione e ci dirigiamo verso il Brasile.
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